Ep. 4 Contro le storie uniche

Ho pensato a lungo a questa puntata, ci ho pensato con urgenza e con passione, con rabbia e frustrazione. Volevo parlare di razzismo, di quello che sta succedendo negli Stati Uniti, dell’eco che le proteste dei neri americani stanno avendo in tutto il mondo, e di come tutto ciò ci riguardi tutti in prima persona. Ma non sapevo da che parte cominciare, ci sono talmente tante cose da dire…

E così per settimane mentre leggevo libri su libri, discutevo con amici, mi ritrovavo a pensare a questa puntata quasi ogni giorno, immaginavo incipit prima di andare a dormire… Pensavo a come poter dire tutto quello che volevo dire ma non trovavo il modo giusto, fino a quando un giorno mi sono ricordata del TedTalk di Chimamanda Ngozi Adichie, The Danger of a Single Story, il pericolo di una storia unica. Il discorso risale al 2009 e da allora ha avuto più di ventidue milioni di visualizzazioni solo sul sito di Ted… Se non avete mai ascoltato questo discorso mettete in pausa questo podcast, seguite il link che trovate in descrizione e ascoltatelo, ( ci sono i sottotitoli anche in italiano) poi magari tornate qui ad ascoltare quello che ho da dire.

Adichie parla dello stretto rapporto tra le storie a cui abbiamo accesso (siano storie che ascoltiamo, leggiamo, guardiamo alla tv), e il modo in cui ci relazioniamo alla realtà che ci circonda e misuriamo le nostre possibilità. Le storie uniche annullano la complessità e la molteplicità della realtà , appiattiscono le persone, i luoghi, le culture rendendole mono-dimensionali, e spianano la strada a pregiudizi e stereotipi.

La sistematica mancanza di rappresentazione di certe categorie di persone nelle narrative dominanti limita la capacità del soggetto non rappresentato di immaginarsi in certe situazioni,  e così per esempio Adichie racconta di come da bambina aveva accesso solo a libri di autori britannici e americani, e perciò quando comincia a scrivere storie scrive immagina personaggi bianchi, che parlano della neve e mangiano mele…nonostante vivesse in Nigeria, dove tutti sono neri, il sole splende sempre e la gente mangia manghi invece di mele. 

Riascoltando questo discorso, e poi ascoltando varie altre interviste alla Adichie,  tutte quelle lucine che mi lampeggiavano in testa si sono finalmente unite e hanno formato una sorta di mappa che mi piacerebbe percorrere un po’ alla volta, nel corso di più puntate.

Ho capito che tutto quello di cui vorrei parlare merita studio e tempo e che in questa puntata, prima ancora che di razzismo vorrei parlare del perché ritengo sia importante diversificare le proprie letture e cosa significa per me.

Partendo dalla fine, sono giunta a questa conclusione perché mi sono resa conto che i libri sul razzismo che stavo leggendo, le conversazioni che stavo avendo si riferivano soprattutto al contesto statunitense, ma ogni paese ha le sue forme di razzismo che si esprimono in modo diverso. Quindi mi sono presa l’impegno personale di cercare di allargare il mio sguardo su questo tema.

Come dico nell’introduzione a questo podcast leggere per me è anche un atto politico. Si può leggere in tanti modi, per svagarsi, per entrare in altri mondi, per puro intrattenimento… e tutti questi motivi sono validi e là fuori ci sono libri per tutti i gusti. Ecco, io faccio mia la definizione di Gancitano e Colamedici di Tlön, e vedo la lettura come uno stimolante, non un tranquillante. Non leggo per essere rassicurata sul mondo, per rimanere necessariamente sulle mie posizioni, ma per mettere in discussione le mie idee, per cercare di mettermi nei panni degli altri, leggo per sentirmi scomoda a volte. E penso che anche attraverso la lettura penso si possano gettare le basi per la coscienza politica, per capire dove e come vogliamo dirigere le nostre azioni. Sono sempre più convinta infatti che il disinteresse per “la cosa comune”, sia fondamentalmente un sintomo di privilegio, il privilegio che non ci costringe a lottare per dei diritti che bene o male, abbiamo già. E sebbene io sia della ferma opinione che non si fa attivismo sui libri, o con i bei discorsi, penso anche che quello che “consumiamo” a livello di notizie, tv, cinema, libri, social media, dà forma al nostro modo di pensare. Ed è per questo che ho deciso di partire dall’importanza di diversificare le proprie fonti, ma bisogna farlo intenzionalmente, sforzandosi di considerare attivamente e criticamente le proprie letture , e far prendere loro una certa direzione piuttosto che un’altra.

Negli anni mi sono accorta di quanto per me fosse importante fare caso a quello che stavo leggendo, chi erano gli autori da cui ero attratta e perché. C’erano per caso delle categorie di autori che non entravano mai nel mio radar, e se sì, perché? 

Ho avuto una prima illuminazione in questo senso quando ho scoperto attivamente il femminismo, e mi sono iniziata a chiedere quante autrici donne leggessi. fortunatamente la mia libreria non era dominata da maschi bianchi etero, ho cominciato a guardare agli anni dell’università nella facoltà di lettere e mi accorgevo di quanto il canone letterario imposto fosse sostanzialmente un canone del tutto maschile ( e guardando chi fa critica letteraria, cinicamente purtroppo non mi stupisce).

Nel frattempo mi ero trasferita in Canada, in una città lontanissima sia fisicamente che culturalmente da qualsiasi cosa mi fosse stato familiare fino a quel momento. Sentivo il mio cervello espandersi, perché mi dovevo adattare in fretta a un contesto che mi bombardava di nuove esperienze e visioni del mondo.

In questi anni, mentre esploravo nuovi modi di pensare, mi sono anche riavvicinata alla letteratura italiana, complice il bisogno di qualcosa che fosse certo e familiare e l’accesso a una biblioteca italiana ben fornita.  Mentre recuperavo la letteratura italiana del Novecento, di cui avevo letto pochissimo, cominciavo  anche a cercare intenzionalmente più autrici donne italiane. E così ho scoperto il grande amore per Natalia Ginzburg, ho scoperto Dacia Maraini e Fausta Cialente, Gina Lagorio….

Fuori da quella biblioteca però c’era un mondo che sfidava molti dei modi di essere e pensare a cui ero abituata. C’era per esempio una città in cui le tracce del post colonialismo erano ovunque, specialmente nei corpi dei nativi americani, che pagano ancora oggi con la loro vita le conseguenze di un sistema costruito per opprimerli e rendere le loro vite marginali.

Certo si poteva anche far finta di non vedere il trauma e la distruzione che il colonialismo aveva portato nelle vite delle first nations (e per favore basta chiamarli indiani d’America), e fregarsene con la scusa che tanto eravamo solo di passaggio.

Ma mi sentivo in dovere di approfondire la storia della  terra che mi ospitava e rendere omaggio, anche solo con la consapevolezza, alle persone che la abitavano da secoli.

Interessandomi alle storie delle first nations, mettevo in discussione la single story di un Canada benevolo, gentile, che si vanta dello stereotipo del canadese che chiede sempre scusa… stereotipo che tuttavia serve anche a coprire un sistema concepito per eliminare e sopprimere sistematicamente la storia, la cultura, la lingua e i riti sacri degli indigeni a cui è stata sottratta la terra, ma soprattutto la dignità.

Bastava cercare per trovare arte, spettacoli teatrali, film, libri, conferenze, eventi  e proteste che parlassero della storia, della cultura e delle prospettive future dei nativi. Ma so bene che sarebbe stato altrettanto facile ignorare quelle storie e continuare a vivere lì come se niente fosse.

In quel periodo anche l’esperienza dell’insegnamento dell’italiano mi ha insegnato molto sugli stereotipi, soprattutto sul cosa vuol dire essere dalla parte di chi li riceve. Mi rendevo conto di essere italiana al momento giusto, oggi l’Italia è meta di vacanze ed è vista come il paese della dolce vita , dell’arte e del mangiare genuino, ma non potevo ignorare il fatto che solo cinquant’anni prima il mio essere italiana sarebbe stato accompagnato da stereotipi molto più dannosi. Eppure, nonostante gli stereotipi che i miei studenti mi chiedevano di validare fossero tutto sommato positivi, mi sentivo comunque ingabbiata da visioni sommarie, che escludevano gran parte della complessità di un paese che ero abituata a guardare con occhi meno desiderosi di sogno.

Poi l’anno scorso ho avuto un’altra epifania mentre ascoltavo un episodio del podcast Reading Women in cui veniva intervistata Tressie McMillan Cottom, scrittrice, sociologa e professoressa universitaria afroamericana. McMillan Cottom parlava di quanto sia  difficile per una donna nera negli Stati Uniti, da una parte sopravvivere all’accademia, e dall’altra intraprendere una carriera come scrittrice. Infatti l’industria editoriale americana sembra essere interessata alle donne nere praticamente solo quando scrivono storie personali di trauma e abuso, e quindi il prezzo per essere pubblicate è la propria esperienza di vita e una volta che quella è stata sfruttata all’osso, si passa al prossimo caso editoriale. Non c’è veramente spazio per una donna nera esperta in qualcosa, tutto quello che le si chiede è parlare di trauma o razzismo.

Ma la parte dell’intervista che mi colpì di più in quel momento parlava di come nella maggior parte dei casi nel mondo occidentale chi ci influenza e ha a disposizione una piattaforma (radio, tv, giornali) in cui poter parlare sostanzialmente di qualsiasi cosa, anche la più noiosa che gli passi per la testa, sia tendenzialmente un uomo bianco etero, che a sua volta è influenzato da persone come lui. Quindi in fondo ci facciamo influenzare da persone con una visione del mondo fortemente limitata. è  più unico che raro infatti  che chi ha a disposizione casse di risonanza del genere le usi per amplificare le voci di donne nere ad esempio, e aggiungerei e uomini neri, persone di colore, o di qualsiasi altra minoranza.

E così, mentre ascoltavo quel podcast, in una mattina di primavera mentre andavo al lavoro, ho avuto un’epifania, vivevo in un paese apparentemente multiculturale come il Canada eppure i miei punti di riferimento erano quasi tutti uomini o donne bianchi… quanti autori o autrici nere avevo letto fino a quel giorno? conoscevo autori nativi? quanti autori nord americani di seconda generazione con origini non europee conoscevo?

Fast forward a questa primavera, il 25 maggio 2020 George Floyd è stato assassinato da un poliziotto: l’ennesimo atto di violenza della polizia contro un uomo nero innocente e disarmato, l’omicidio è stato filmato e il video è andato virale e ha fatto il giro del mondo. Tutto questo è avvenuto durante una pandemia che ha evidenziato in maniera inconfutabile come i neri americani siano le principali vittime del virus. Questo omicidio è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, i neri americani hanno inondato le strade, per protestare contro la  violenza sistemica contro di loro, in un paese costruito sul razzismo e lo sfruttamento e l’oppressione degli afroamericani. La risposta da parte del mondo bianco è stata grandissima, molti sono sembrati cadere dalle nuvole, tanti hanno sentito il bisogno di agire, e sicuramente tante di queste azioni hanno avuto solo un valore performativo. Tuttavia spero che le proteste che si sono diffuse in tutto il mondo abbiano anche risvegliato delle coscienze e aperto gli occhi ad almeno qualche persona in più sulla necessità di agire verso un cambiamento sistemico delle nostre società.

Anche io ho sentito l’urgenza agire, e da lì è nato il bisogno di portare quei temi in questo podcast, di usare i libri come trampolino verso l’azione e questa piattaforma per amplificare voci diverse dalla mia. Viviamo in una società fortemente diversificata, in paesi che accolgono persone provenienti da tutto il mondo, ma in cui le storie che consumiamo riflettono solo una percentuale della popolazione, quella bianca, e attribuiscono al resto delle persone caratteristiche stereotipate e infarcite di pregiudizi. Penso che la letteratura possa essere un modo per combattere le storie uniche.

Concludo quindi questa puntata non con dei consigli di lettura, ma con delle domande che vi invito a porvi:

Quali sono gli autori che leggo più frequentemente? Da dove vengono?

Perché faccio queste scelte?

Ho mai letto un autore nero? Se leggo un libro scritto da un autore/autrice nero, o di colore, mi aspetto un certo tipo di storie?

Quando mi approccio a un autore che viene da un paese che sono portato a caratterizzare come esotico, mi aspetto qualcosa in particolare? e perché?

Conosco autori o autrici italiani di seconda generazione? autori e autrici afroitaliani?

Quali sono le strutture di potere in gioco che fanno si che certi autori siano meno visibili di altri?

Nelle prossime puntate cercherò di approfondire queste domande. Per quanto mi riguarda, vorrei impegnarmi a leggere più libri di autori LGBTQ+ e più libri in traduzione che vengono da più parti del mondo. Ho molto ridotto la lettura di libri in traduzione, perché mi pongo sempre il dilemma se leggere questi libri in inglese o in italiano… e quindi mi ritrovo a leggere soprattutto autori anglofoni, o italiani.

Grazie per aver ascoltato fino a qui, iscrivetevi al podcast per non perdere la prossima puntata fra due settimane, buona lettura e a presto!

Il TedTalk di Chimamanda Ngozi Adichie, “The Danger of a Single Story”: https://bit.ly/2Q642aH
Intervista a Tressie McMillan Cottom del podcast ReadingWomen: https://bit.ly/3aDpjSy
Un video di The Artisan Geek sul perché diversificare le proprie letture: https://bit.ly/31cHDic