Ep. 5 Adebayo, Emezi, Braithwaite: tre voci nigeriane emergenti
Negli ultimi anni la letteratura nigeriana ha fatto molto parlare di sè, complice il successo mondiale di Chimamanda Ngozie Adicihie, intellettuale e scrittrice, autrice di due tra i TedTalk più visti al mondo, The danger of a single story di cui ho parlato nella scorsa puntata e We should all be feminists (Dovremmo essere tutti femministi), da cui è poi stato tratto un libro tradotto in più di trenta lingue.
Ma in questa puntata non è di Adichie che voglio parlare, bensì di tre voci nigeriane emergenti che hanno avuto molto successo con i loro libri di esordio. Sto parlando di Ayobami Adebayo, con Stay with Me, tradotto in italiano come Resta con me, Akwaeke Emezi con Freshwater, pubblicato come Acquadolce e Oyinkan Braithwaite con My sister the serial killer, Mia sorella è una serial killer.
Ho scelto di parlare di questi tre libri perché secondo me sono il controesempio pratico agli stereotipi che derivano dalle storie uniche, tema di cui ho parlato nella puntata precedente. Prima di andare avanti vi invito a porvi una domanda: che cosa vi viene in mente sentendo parlare di letteratura nigeriana? Vi aspettate un certo tipo di temi o di ambientazioni? Se sì, sapreste individuarne il perché?
La Nigeria è uno stato federale, composto da 36 stati, diventato indipendente dal dominio coloniale britannico nel 1960. In Nigeria convivono ben 250 gruppi etnici diversi e si parlano 525 lingue. I tre gruppi etnici maggiori sono Hausa-Fulani, Yoruba e Igbo. la Nigeria come la conosciamo oggi è il prodotto della dominazione coloniale britannica che ha tracciato arbitrariamente i confini di uno stato che non esisteva prima, raggruppando insieme gruppi etnici diversi.
Ok, ora, sapete qual è la lingua ufficiale in Nigeria? Of course, it’s English! L’inglese, la lingua dei colonizzatori britannici. È La lingua delle istituzioni, della scuola e la lingua che permette ai diversi gruppi etnici e linguistici di comunicare fra loro. Accanto all’inglese standard in Nigeria si parla prevalentemente una lingua che si definisce Nigerian pidgin.
Secondo la definizione della Treccani, pidgin è un: termine col quale si indica un tipo di lingua semplificata, nata dal contatto tra una lingua straniera (spec. una lingua europea coloniale) e una o più lingue indigene, usata nella comunicazione tra persone che non parlano ciascuno la lingua dell’altro
In Nigeria quindi, l’inglese, da una parte costituisce la lingua del colonizzatore, dall’altra tuttavia è la lingua franca che permette ai nigeriani di comunicare tra di loro, cosa che altrimenti sarebbe pressoché impossibile.
Penso sia molto importante tenere a mente la questione linguistica perché è strettamente collegata al tema dell’industria editoriale e di conseguenza del pubblico a cui ci si rivolge. Infatti la maggior parte degli autori nigeriani viene ancora oggi pubblicata prevalentemente da case editrici statunitensi o britanniche, sebbene alcuni autori siano pubblicati inizialmente da case editrici locali. Questo ovviamente è possibile grazie al fatto che la lingua ufficiale nigeriana sia l’inglese.
Ho cercato di fare un po’ di ricerca sul mercato editoriale nigeriano, e da quello che ho potuto capire alcuni degli ostacoli principali sono: l’assenza di infrastrutture, da una parte un pubblico abbastanza ristretto, dall’altra l’assenza di una strategia di marketing da parte delle case editrici, che permetta di allargare il bacino dei lettori. Per questo la maggior parte delle case editrici tende a pubblicare libri di personaggi più o meno noti, che hanno già un mercato e a investire meno su autori emergenti e prodotti più propriamente letterari. Inoltre l’industria editoriale si trova a fare i conti con la concorrenza sleale della pirateria.
Quindi la maggior parte del mercato per gli autori nigeriani continua a trovarsi prevalentemente in Occidente.
Il problema che si pone è quindi quello di quanto il mercato Occidentale con la sua idea preconcetta e piena di stereotipi di cosa debba scrivere uno scrittore africano, influisca sulle storie che vengono pubblicate. L’Africa è un continente vastissimo, che racchiude una moltitudine di lingue, etnie e culture, ma viene visto dall’uomo bianco come una sorta di unicum indistinto, un paese o da sfruttare, o da salvare. Per questo l’autore potrebbe essere tentato di rendere la storia, la lingua, la forma più o meno appetibile ad un pubblico bianco, appiattendosi su qualcosa di facilmente “digeribile”, o peggio alcune storie potrebbero non trovare un editore perché non conformi a una certa idea di “Africa”.
Tutti e tre i libri di cui parlo hanno avuto molto successo nel mercato britannico e americano, grazie anche al fatto che tutti e tre i libri sono stati finalisti al Women Prize for Fiction, Adebayo nel 2017, Emezi nel 2018 e Braithwaite nel 2019. Questo fa si che sia molto facile trovare recensioni su giornali inglesi e statunitensi. Tuttavia, mi interessava molto capire come questi libri fossero stati accolti in Nigeria, e mi sono messa a cercare nei meandri di internet recensioni di riviste o lettori nigeriani (ovviamente questo mi è stato possibile solo grazie al fatto che la lingua ufficiale nigeriana sia l’inglese). Ovviamente trovare certe cose su internet è meno facile di quanto possa sembrare tuttavia qualcosa sono riuscita a trovare e ho anche scoperto una rivista molto interessante, che si chiama The Republic.
Come ho accennato all’inizio questi tre libri sono completamente diversi. Cominciamo dal libro più “facile”. Mia sorella è una serial killer, di Oynkan Braithwaite è pubblicato in Italia dalla Nave di Teseo e tradotto da Elena Malanga; è un libro leggero, di lettura scorrevole, grazie anche a dei capitoli molto brevi. Come è chiaro dal titolo la sorella della protagonista è una serial killer, che finisce per uccidere tutti gli uomini con cui ha una relazione. Korede, la protagonista, è una sorella maggiore seria e responsabile, che eccelle sul lavoro e che si prende cura della sorella minore Ayoola al punto da aiutarla ogni volta a far sparire le tracce dell’omicidio ogni volta. Ayoola è molto più bella di Korede, è una stilista e passa la maggior parte del suo tempo a prendersi cura del suo profilo Instagram e della sua identità online. Questo è un libro senza pretese, da leggere sotto l’ombrellone, o in treno o in fila alla posta, meglio se prestato dalla biblioteca o da un’amico.
Mentre stavo riflettendo su questa puntata ho visto un video della Youtuber Ilenia Zodiaco cha parlava brevemente di questo titolo definendolo facente parte di una letteratura globale, perché non c’è una contestualizzazione approfondita della cultura nigeriana.Ho trovato questo commento interessante, perché dimostra che c’è una certa aspettativa nei confronti dei romanzi cosiddetti “africani”. L’aspettativa del lettore occidentale è che in qualche modo siano anche testi educativi perché corredati di un’indagine antropologica e socio-politica. Cosa che non ci aspettiamo da autori inglesi, francesi, americani, italiani…. Non leggeremmo mai un romanzo francese commentando il fatto che non è di contestualizzazione abbastanza francese. In realtà Braithwaite inserisce nel romanzo quegli aspetti della vita di tutti i giorni che connotano la Nigeria: il traffico, la polizia corrotta, l’avere una domestica in casa, il potere costruito su traffici loschi. Ma anche l’uso dei social media da parte dei giovani, l’importanza dell’identità online e la discrepanza tra vita virtuale e vita reale, che accomuna i giovani di tutto il mondo ormai.
Il secondo esordio di successo, di cui però non ho sentito parlare praticamente mai in Italia è Resta con me di Ayobami Adebayo, pubblicato dalla Nave di Teseo e tradotto da Maria Baiocchi e Anna Tagliavini. È La storia di una coppia che deve fare i conti con l’infertilità all’interno di una società in cui avere dei figli è fondamentale per salvaguardare l’onore della famiglia. Le forti imposizioni sociali e le ingerenze dei familiari che si esercitano in modo diverso ma altrettanto devastante sia sull’uomo che sulla donna, costringono i protagonisti Yejide e Akin a ricorrere a qualsiasi soluzione pur di avere dei figli.
Resta con me è un romanzo che vi cattura, e vi tiene incollati alle pagine grazie alle continue svolte che prende la trama, ad una rilettura alcune forse un po’ più improbabili di altre. Nel romanzo Adebayo fa proprio quello che non fa Braithwaite ossia pone la storia d’amore tra Yejide e Akin sullo sfondo della storia politica nigeriana, con il susseguirsi di colpi di stato a scandire gli avvenimenti.
Questo è il libro su cui sono riuscita a trovare (con non poche difficoltà) alcuni commenti che si allontanano dal coro di lodi dei recensori occidentali. I lettori nigeriani si riferiscono apertamente al fatto che Resta con me sia un romanzo destinato a un pubblico non nigeriano ma bianco. Proprio il fatto di mettere la storia politica sullo sfondo a qualcuno è sembrato forzato, Pa Ikhide, che ha un blog su Medium, invece si concentra di più sulla rappresentazione fatta dei nigeriani e sul modo in cui vengono trattate alcune tradizioni Yoruba che riguardano la gravidanza e la nascita. Ikhide poi critica le traduzioni imperfette e troppo semplificate dallo Yoruba all’inglese e il fatto che i termini Yoruba siano stati marcati in corsivo.
Ovviamente sarebbe arrogante da parte mia cercare di rispondere a queste critiche, ma mi sembrava interessante parlarne. Sicuramente Resta con me è un libro appassionante, che da parte mia consiglio vivamente.
Il terzo esordio di cui vorrei parlare è Freshwater di Akwaeke Emezi pubblicato in italiano come Acquadolce, dal Saggiatore con traduzione di Benedetta Dazzi. Sicuramente questo è il libro più particolare dei tre e più complesso per temi e struttura.
Per parlare di Akwaeke Emezi devo fare una piccola digressione linguistica, infatti Emezi è una persona transgender, nata biologicamente come donna, attualmente non si identifica in un genere e ha scelto ha scelto di utilizzare il pronome They. Infatti in inglese le persone non binarie e trans fanno spesso ricorso al pronome They come pronome neutro (in opposizione al maschile he o al femminile She). Questo aggiustamento linguistico risulta comunque molto facile da fare in inglese in quanto con il pronome They come neutro si continua ad usare il verbo alla terza persona singolare e come forse saprete nella lingua inglese i sostantivi non hanno genere, ossia il maschile e il femminile. In italiano le parole possono essere arbitrariamente o maschili, il fiore, o femminili, la casa, e quando si parla di persone, tendenzialmente abbiamo parole al maschile o al femminile: lo scrittore , la scrittrice. In inglese questo non succede, quindi se avessi dovuto parlare di Emezi in inglese me la sarei cavata facilmente, dicendo Emezi is an author, or a writer…
In una lingua come l’italiano la questione si complica, perché per rispettare la volontà di una persona non binaria, che non si identifica né con il genere maschile né con quello femminile, bisogna trovare una soluzione alternativa. Vi sarà probabilmente capitato di vedere scritte delle parole che finiscono con un asterisco, tuttavia trovo questa soluzione inefficace perché non trasferibile alla lingua parlata.
La sociolinguista Vera Gheno ha proposto l’uso della scwah, un suono che per esempio corrisponde alla “A” di about in inglese, o che corrisponde ad un suono presente in molti dialetti italiani. C’è anche chi propone l’uso della u, ma effettivamente in molti dialetti, tipo il mio, la u è suffisso maschile, lu libbru.
Onestamente trovo che questi dibattiti siano molto interessanti, perché la lingua è una materia viva, che si adatta alla società e alla cultura che cambiano. Al di là di perbenismi, la fluidità dei generi è una realtà che penso esista da quando esiste l’uomo, e non ci vedo quindi nulla di male nell’adattare il linguaggio a una realtà che esiste e che si riflette nelle vite di molte persone e che è una realtà personale innocua per il resto della popolazione.
Ora tutto questo preambolo per dire che mi trovo in difficoltà a definire Emezi una scrittrice, perché per sua esplicita dichiarazione non si identifica col genere femminile. Non essendoci una soluzione pratica che mi sento in grado di usare cercherò quindi di costruire le frasi in modo da non dovermi mai riferirmi a Emezi al maschile o al femminile, sappiatelo.
Acquadolce è un libro in parte autobiografico, Ada, la protagonista, che cresce in Nigeria e si trasferisce negli Stati Uniti per il college, deve fare i conti con un sè plurale, infatti Ada è abitata da molteplici spiriti, ogbanje, che controllano le sue azioni non curanti delle conseguenze delle loro scelte sul corpo di Ada. Nel libro si alternano le voci degli spiriti e quella di Ada.
Emezi trova nell’ontologia Igbo una spiegazione metafisica al suo essere, in cui coabitano molti sè, spesso in conflitto tra di loro e in conflitto con il corpo che abitano. Una pluralità che in Occidente ha soltanto una classificazione possibile, ossia quella di malattia mentale, ma di cui Emezi si riappropria grazie all’ontologia Igbo, facendone un fatto personale, che non deve per farzo rendere conto alla società che la circonda. Il libro è stato ben accolto in Nigeria, proprio per la riapproprazione della tradizione Igbo degli ogbanje e anche per la presa di posizione di Emezi di non spiegare il come e il perché dei molteplici ogbanje che abitano la protagonista. Gli ogbanje sono il cuore della narrazione così come lo era per esempio la chiesa cattolica per Manzoni, senza bisogno di giustificazioni o spiegazioni.
In un articolo uscito nel febbraio 2018, intitolato Writers of Color Are Making Their Own Canon, Emezi racconta delle difficoltà incontrate nel processo di pubblicazione di Acquadolce. Ad un certo punto Emezi partecipa a un workshop di scrittura negli Stati Uniti. Come lettura viene assegnato un testo di Nabokov. Inizialmente Emezi è diffidente, mafinisce in realtà per riconoscersi nel testo, nel trovarci conforto perché legge finalmente uno scrittore che ha esplorato il tema del sè in maniera simile a quello che sta provando a scrivere.
Ma ben presto Emezi realizza che secondo il canone, specialmente se si è visti come una donna nera africana, Nabokov, dovrebbe ispirare solo deferenza e reverenza e non è permesso vederlo come un pari. E infatti gli unici altri due afroamericani che partecipano al corso con lei sono talmente tanto intimiditi dal “ maestro” da decidere di non presentare per niente il proprio lavoro alla classe. e così Emezi scrive:
Il messaggio che sibilava era: Quando leggi un’opera come quella di Nabokov, girati dall’altra parte. Non è il tipo di lavoro che puoi creare. C’è un copione per le persone come te; attienitici.
Continuavo a cercare storie simili a quelle che stavo raccontando, ma non riuscivo a trovarle, e questo fatto mi atterriva. Forse dovevo scrivere storie che assomigliassero di più a ciò che gli scrittori Africani famosi avevano fatto prima di me. Forse se mi fossi attenuta a temi comuni, temi che addirittura prevedibili, avrei potuto avere un po’ del successo che avevano avuto loro.
Emezi parla chiaramente della necessità di avere storie molteplici, che sgretolano la barriera delle storie uniche, storie in cui riconoscersi, storie che ci dicano che chi siamo e che quello che stiamo facendo è leggittimo.
Concludo con le parole di Emezi, perché ricapitolano perfettamente quello che ho cercato di dire con questa puntata:
La vita e le esperienze della mia protagonista non si focalizzavano sul suo essere africana, nera o immigrata —- quelli erano tratti trascurabili, secondari. Al nucleo del suo conflitto c’era il fatto di essere incarnata, di esistere, di avere più di un sè, di essere molteplice. Non conoscevo nessun altro libro di scrittori africani che chiedesse o rispondesse alle domande su cui stavo lavorando, ma volevo così tanto trovare un modello. Pensavo che mi avrebbe detto se quello che stavo facendo fosse ammissibile o possibile, mi avrebbe permesso di predire la traiettoria del libro e garantito un po’ di sicurezza. A volte non riusciamo ad ottenere le rassicurazioni che vorremmo; ma facciamo comunque il lavoro. A quel punto, sapevo cosa significasse cercare libri che riflettessero il mio mondo senza riuscire a trovarli. So che potere ha sulle persone il sentirsi viste, l’ avere accesso a storie che riflettono la loro, e le corde che tocca dentro di loro.
Mi chiedo se sia abbastanza; so che per me non lo è.
Per approfondire:
Il TedTalk di Chimamanda Ngozi Adichie, “The Danger of a Single Story”
Akwaeke Emezi, Writers of Color Are Making Their Own Canon
Elizabeth O. Ben-Iheanacho, Finding Self: Of Gods, Contestation and Containment
Pa Ikhide, Quick thoughts on Ayobami Adebayo’s Stay with Me
Dania Nwizu, Locating the African in African Literature
Nnamdi Ehirim, How a New Generation of Nigerian Writers Is Salvaging Tradition from Colonial Erasure
Per approfondire l’argomento italiano lingua inclusiva: https://www.valigiablu.it/linguaggio-inclusivo-dibattito/