Ep. 1 Chandra Livia Candiani
Voglio essere audace e dedicare la prima puntata alla poesia. So che molti di voi avranno un trauma con la poesia che risale ai tempi della scuola, quando la poesia veniva trattata come una sorta di cadavere a cui bisognava fare l’autopsia. Il testo poetico era pieno di note, bisognava trovare tutte figure retoriche e i sistemi metrici. Tutto questo probabilmente ha soltanto contribuito a farci credere che la poesia è qualcosa di lontano e impossibile da capire senza l’aiuto di chilometri e chilometri di note. Benissimo, tutto questo è falso! La poesia non è necessariamente fatta per essere capita alla lettera, ma è fatta per evocare in noi delle suggestioni, per aprire delle finestre su altri modi di percepire il mondo. Potremmo un po’ paragonarla al vino, per quanto i sommelier possano elencarci le note olfattive, la provenienza, il tipo di terreno, il vino o ci piace o non ci piace. e la poesia o ci parla o non ci parla, ma sicuramente più ne leggiamo, più impariamo a capire quale poesia fa per noi.
Oggi parliamo di Chandra Livia Candiani, poetessa milanese contemporanea, che ho scoperto alcuni anni fa grazie a un regalo di Natale di mio padre. Grazie a lei mi sono riavvicina alla poesia, che avevo abbondonato, o mai veramente affrontato, a causa di quella percezione scolastica ereditata dalle scuole superiori e poi dall’università. Torno e ritorno sui libri di Candiani periodicamente, perché mi parlano e toccano delle corde molto profonde.
Candiani scopre la poesia da bambina, intorno ai 5 anni, un giorno sente il fratello maggiore recitare X Agosto di Pascoli – quella della cavallina storna per intenderci – e rimane folgorata da quella forma espressiva che ancora non sa classificare, ma che decide diventerà sua.
Candiani ha un’ infanzia difficile, segnata dalla violenza e dalla malattia mentale della madre. Candiani la definisce pazza e in molte sue interviste parla proprio del suo spaesamento di bambina di fronte alla lingua della madre, un linguaggio che è spesso privo di senso, frammentato, un linguaggio che fa cortocircuito. Eppure anche la poesia si nutre di cortocircuiti, è la forma frammentata per eccellenza, in cui si procede per associazioni di idee, spesso lontane dal senso comune, da cui nasce anche l’espressione licenza poetica. I cortocircuiti della poesia sono finestre su altri mondi, aprono a una percezione del mondo moltiplicata.
Forse proprio per questa capacità della poesia di ampliare il mondo, Candiani conduce da molti anni laboratori di poesia nelle scuole delle periferie milanesi, frequentate da bambini che provengono spesso da situazioni difficili, e sono in molti casi figli di migranti appena approdati in Italia. Candiani fa un atto rivoluzionario, chiede a questi bambini dimenticati da tutti di esprimersi, li prende sul serio e dona loro la possibilità di avere una voce.
Il linguaggio poetico, proprio per la sua frammentarietà e brevità, per la libertà di espressione che offre, diventa un mezzo espressivo potente anche nelle mani di bambini che magari sono arrivati da poco in Italia e padroneggiano poco l’italiano. Molte di queste poesie evocano esperienze traumatiche, evocano la perdita delle coordinate di senso data dallo spaesamento di trovarsi in un posto totalmente nuovo. Sono poesie strabilianti, che hanno una potenza disarmante.
Ma da dove nasce la poesia per Candiani? La poesia nasce da un ascolto attento e profondo, infatti la poesia viene e va a suo piacimento, il suo arrivo non può essere controllato, solo accolto. Bisogna fare spazio alla poesia, preparale un terreno fertile. Il silenzio è un elemento chiave per la nascita della poesia.
A casa di Candiani c’è una stanza completamente vuota e spoglia, è la stanza della meditazione e del silenzio. Infatti Candiani pratica la meditazione buddhista da moltissimi anni e il nome Chandra le è stato dato dal suo primo maestro, conosciuto in India. Il buddismo è una via che attraverso la pratica costante permette di imparare a guardare al momento presente e senza chiedergli niente di più di quello che c’è già. Permette di diventare curiosi di ogni momento, una curiosità alla quale attinge anche la poesia. Per questo non c’è più distinzione tra il poetabile e il non poetabile, anche i gradini di una scala infatti possono destare interesse e rispetto e diventare oggetti poetici.
La raccolta Fatti Vivo, uscita per Einaudi nel 2017, raccoglie 10 anni di poesie, dal 2006 al 2016 e si apre proprio con una sezione intitolata Il silenzio della casa, in cui Candiani canta il portone, il tavolo, le lenzuola, addirittura il frigorifero…
Accanto al tema del sacro quotidiano, fra i temi fondamentali della sua poetica ci sono sicuramente il tema dell’assenza e della perdita. Infatti Candiani ha scritto una raccolta che si chiama Bevendo il té con i morti, uscita per la prima volta nel 2007 e ripubblicata da Interlinea nel 2015. Gli altri temi sono sicuramente la sofferenza, il dolore, la paura.
Nelle poesie di Candiani ricorre infatti la semantica della lacerazione, si parla di strappi, strattoni, spinte, squarci. Mentre riflettevo su questa semantica mi sono imbattuta in un verso di una canzone di Leonard Cohen, che dice:
There is a crack in everything that’s how the light gets in
C’è una crepa in ogni cosa, anche nel lutto, nel dolore, nella paura, c’è un momento in cui possiamo vedere la luce. Una caratteristica della poesia di Candiani è quella di aprirsi costantemente alla luce che filtra dalla crepa, riesce a trovare la vita pulsante anche nella sofferenza.
Sicuramente la pratica della respirazione consapevole insegna ad accogliere il momento presente per quello che è, che sia più o meno piacevole. Nel 2019 è uscito per Einaudi Il silenzio è cosa viva, un testo in prosa in cui Candiani esplora il rapporto con la paura, con la sofferenza, con il silenzio e con la parola poetica.
Il libro si apre parlando di un’esperienza di lutto, infatti quando Candiani deve scrivere questo libro sua sorella è morta da poco più di un mese. Decide di inserire questa parte della sua vita proprio perché sta scrivendo un libro sulla consapevolezza e la meditazione, e il momento presente per lei comporta anche il dolore per la perdita.
Nel Silenzio è cosa viva Candiani scrive: la pace non è la quiete, piuttosto l’accoglienza dell’irrequietezza.
Candiani vuole imparare a tremare, come dice in una sua poesia vuole imparare a farsi scrivere dal male. Questo significa continuare a vivere nonostante le sensazioni che ci turbano, senza farci sopraffare, ma accogliere queste sensazioni per poi farle fluire e lasciare andare.
Spesso la vita ci frantuma e Candiani attraverso la sua poesia raccoglie le parole andate in frantumi e le ricompone in una combinazione che invece apre, che accoglie la vita così com’è, a volte brutale, eppure viva e pulsante.
Vorrei concludere con una poesia tratta dalla raccolta La bambina pugile ovvero la precisione dell’amore, uscita nel 2014 per Einaudi e forse la mia preferita.
POesia
Libri dell’autrice citati:
Fatti vivo, Einaudi
Il silenzio è cosa viva, Einaudi
La bambina pugile ovvero la precisione dell’amore, Einaudi
Bevendo il tè con i morti, Interlinea
Un video di una lettura di poesia e intervista a Candiani a Romena nel 2017: https://bit.ly/31fV6Ge
Un’intervista a Candiani uscita sul Corriere della Sera: https://bit.ly/3erB27V