Ep. 3 Unorthodox: libro vs serie tv
Oggi parliamo di Unorthodox, The Scandalous Rejection of my Hassidic Roots il memoir di Deborah Feldman, uscito nel 2012 da cui è stata tratta la miniserie Netflix che sta avendo molto successo.
Questa puntata ha una genesi un po’ diversa dalle altre, infatti in questo caso ho visto prima la serie tv, e poi ho letto il libro di Feldman. Sebbene la serie non mi abbia convinto, mi ha molto incuriosito. Sulla scia della curiosità ho cercato notizie sull’autrice del libro e ascoltato molte sue interviste e alla fine, dopo diverse settimane di attesa in biblioteca, ho anche letto il memoir da cui è tratta la serie.
Durante la preparazione di questa puntata ho anche letto diverse recensioni alla serie, scritte da persone che sono andate OTD, in inglese off the derech, ossia off the path, il che significa persone che hanno abbandonato l’ortodossia. Infatti, quando parliamo di ebrei hassidici o ultraortodossi stiamo in realtà parlando di una moltitudine di esperienze e percorsi, perché ci sono moltissime sette all’interno del mondo hassidico. In queste recensioni si guarda alla serie tv con l’occhio critico di chi conosce le dinamiche di quel mondo dall’interno e mi hanno fatto fare delle riflessioni nuove che hanno fatto prendere una piega diversa a questa puntata.
Deborah Feldman è cresciuta nella setta Hassidica Satmar, una setta di ebrei ultraortodossi, che si trova principalmente a Williasmburg, Brooklyn, e nello stato di NY. La setta Satmar viene fondata da un rabbino ungherese, Joel Teitelbaum agli inizi del Novecento, ma cresce esponenzialmente dopo la seconda guerra mondiale, quando il fondatore si trasferisce negli USA . La setta prende il nome dal villaggio ungherese da cui proviene Teitelbaum, oggi questo villaggio si chiama Satu Maru e si trova in Romania. Inizialmente il movimento raccoglie intorno a sé principalmente sopravvissuti all’Olocausto e cresce esponenzialmente. Secondo il fondatore l’Olocausto è stato una punizione divina mandata agli ebrei a causa della loro assimilazione con le culture dei paesi in cui vivevano e del Sionismo. Teitelbaum ritorna a un’ortodossia che stava scomparendo nel mondo ebraico, impone l’uso dello yiddish (considerata impropriamente lingua originaria, ma che dervia in realtà dall’antico tedesco) e impone rigide regole di ortodossia, che in molti casi vengono portate all’estremo. Lo scopo esplicito della setta è quello di ripopolare il mondo degli ebrei uccisi nell’olocausto e per questo all’interno della setta c’è una grandissima spinta alla procreazione.
Il mio interesse per la storia d Feldman nasce dalla combinazione di vari interessi, uno è quello per la cultura ebraica, l’altro è l’interesse per la psicologia della vita nelle sette. Inoltre, vivo attualmente a Montreal dove c’è una grande comunità hassidica, tra cui ci sono anche membri della setta Satmar e qui mi capita spesso di incontrare ebrei hassidici camminando per strada. E spesso mi sono interrogata su come si svolgesse la loro vita.
In Unorthodox Feldman racconta gli episodi più significativi della propria vita all’interno della setta. Si parte dall’infanzia, l’educazione, poi il matrimonio combinato, la nascita del figlio fino ad arrivare alla fuga dalla comunità, avvenuta contemporaneamente alla stesura del libro.
Feldman viene cresciuta dai nonni, sotto lo stretto controllo di una zia.
Il padre ha gravi problemi cognitivi e la madre è fuggita dalla setta quando Feldman era piccola. Sua madre proviene da una famiglia inglese molto povera, ebrea non hassidica, che viene attratta nel matrimonio combinato con un uomo che ha dei gravi problemi grazie alla promessa di una ricca dote e di un appartamento a NY.
Per motivi diversi entrambi i genitori costituiscono un motivo di vergogna e uno svantaggio nell’ottenere un buon matrimonio. Infatti reputazione, posizione sociale ed economica sono essenziali ad ottenere un buon matrimonio. Essere appetibili sul mercato matrimoniale è in realtà di aiuto a tutta la famiglia. I figli vengono infatti fatti sposare in ordine di nascita, quindi chiunque abbia difficoltà a trovare una buona combinazione, costituisce un impedimento per gli altri che devono attendere per poter sposarsi. Questo è particolarmente problematico per le ragazze che già intorno ai ventann’anni sono considerate quasi troppo vecchie.
L’età media per una ragazza è infatti intorno ai diciassette, diciotto anni.
I matrimoni sono tutti combinati, secondo un rigido protocollo, e prima del matrimonio gli sposi si sono probabilmente visti una o due volte. Lo scopo principale del matrimonio è la procreazione, quindi le coppie con difficoltà a procreare incontrano ostacoli maggiori all’interno della comunità, sono vittime di gossip e di ingerenze esterne all’interno della coppia.
Nel memoir, e anche nella serie tv, si dedica molto spazio ai problemi sessuali nella vita matrimoniale di Feldamn. Sicuramente questi eventi traumatici hanno segnato profondamente l’autrice e la sua vita, ma mi viene da pensare che la dettagliatezza quasi voyeristica con cui si descrivono questi problemi sia stata suggerita dagli editor e dalla casa editrice, per ottenere un prodotto che potesse vendere di più a un pubblico totalmente estraneo all’ambiente ultraortodosso e avido di dettagli scabrosi.
Ricordiamo che Feldman scrive questo libro quando ha poco più di vent’anni, è da poco uscita dalla setta, e per la situazione in cui si trova non può permettersi di imporre una linea editoriale.
Un altro aspetto saliente su cui si sofferma Feldman è il sistema educativo della setta, che è privato e totalmente autonomo rispetto al sistema scolastico statunitense.
La lingua in cui si insegna è lo yiddish e maschi e femmine vanno in scuole separate. Le ragazze finiscono invece il percorso scolastico a 16 anni e i ragazzi invece continuano con la scuola religiosa. Ai ragazzi è riservato lo studio dei testi sacri, proibito invece alle donne.
L’educazione fornita è molto scadente, tantissimi argomenti sono tabù e per esempio l’insegnamento dell’inglese è di bassissimo livello e totalmente inadeguato se consideriamo che queste persone vivono negli Stati Uniti. Questo ovviamente contribuisce a rendere i membri della setta ancora più dipendenti dal resto della comunità, perché privi dei mezzi linguistici per affrontare il mondo esterno. Questo causa molti problemi, ad esempio nella ricerca di un lavoro, problemi che sono sicuramente accentuati dal fatto di essere una “visible minority”, ossia una minoranza visibile e riconoscibile, a partire dal modo di vestirsi e per tutta una serie di rigide regole di osservanza religiosa che costituiscono dei vincoli nel trovare un lavoro. Ad esempio è probabilmente difficilissimo trovare un lavoro nella vendita al dettaglio, al di fuori di commerci legati alla comunità.
Feldman però sviluppa una grandissima sete di conoscenza e una grande passione per la lettura, che costituisce un mezzo di evasione, ma anche un modo per cercare dei modelli e dei punti di riferimento al di fuori di una comunità in cui si sente un pesce fuor d’acqua.
La lettura tuttavia è proibita, o meglio caldamente sconsigliata, specialmente alle ragazze. E quindi Feldman legge di nascosto, va di nascosto in biblioteca o in libreria, nasconde i libri sotto al letto; grazie alla lettura riesce a migliorare molto il proprio inglese e questo le sarà d’aiuto in futuro.
È molto interessante il passaggio del libro in cui Feldman racconta dell’esperienza di lettura del libro The Chosen ( tradotto in italiano come Danny l’eletto), di Chaim Potok. Scritto negli anni Sessanta e ambientato a Brooklyn ha per protagonisti due ragazzi ebrei, uno ortodosso e uno no, in passaggio del libro Feldman dice:
Un libro che parla di casa mia! Finalmente termini e riferimenti che mi erano familiari, che Sensazione fantastica immergersi nelle pagine di un libro E rendersi conto che quel senso così familiare di alienazione e di confusione se n’era andato. Come era facile identificarsi nei personaggi e nelle storie di The chosen perché erano gli stessi che vedevo intorno a me ora, ancora oggi”
In questo passaggio Feldman parla dell’importanza di avere delle storie che ci rappresentino; ci sono moltissime persone che a tutt’oggi non trovano una rappresentazione, in televisione, nei film, nella letteratura, perché considerati devianti rispetto alla norma della narrativa dominante, che in Occidente ovviamente corrisponde alla supremazia della narrativa dei bianchi. Avere delle storie che ci rappresentino e parlino di noi ci permette di sentirci validati, di avere modelli, ci fa capire le molteplici possibilità che abbiamo nella vita. Ma quando i media che consumiamo non ci rappresentano le nostre possibilità si restringono, impariamo a credere che certe cose sono possibili solo a chi ha un certo aspetto o appartiene a una certa cultura o etnia.
La letteratura è fondamentale nella vita di Feldman perché le permette di emanciparsi dalla comunità e muovere i primi passi nel mondo esterno.
Dopo il matrimonio infatti si trasferisce in un piccolo paesino dello stato di NY, dove c’è una piccola comunità di outsider della comunità Satmar. Sono persone a cui le rigide regole stanno strette e che vogliono vivere in maniera più rilassata, lontano dagli occhi inquisitori degli altri membri della comunità. Qui Feldman prende la patente, cosa eccezionale per una donna, e si iscrive al college ad un corso di scrittura e letteratura. Quest’esperienza le permette di conoscere le persone che poi l’aiuteranno a pianificare la propria fuga dalla comunità e a trovare un contratto per il suo libro, che esce proprio in concomitanza con il processo per la custodia del figlio e le garantisce un’attenzione mediatica che influenza l’esito del processo. Infatti sebbene oggi siano moltissime le persone che abbandonano la setta, per le donne è ancora difficilissimo ottenere la custodia dei figli.
Per quanto riguarda la rappresentazione dei membri della comunità, sicuramente la serie tv sta avendo un ruolo molto importante, ma gli esiti sono controversi. Un pregio indubitabile della serie è quello di aver mantenuto lo yiddish per le parti ambientate a Williamsburg, cosa abbastanza nuova per Netflix.
Feldman dal canto suo si ritiene molto soddisfatta della serie e del fatto che molte persone con un passato molto simile al suo siano state attirate sul set e abbiano lavorato in modi diversi alla serie, contribuendo alla creazione di una storia che non è più solo la sua, ma che è diventata una storia collettiva.
Feldman si augura anche, che insieme al libro, la serie possa costituire un’ulteriore mappa per chi si trova in una situazione simile a quella della protagonista.
Questo punto però è forse la prima controversia della serie.
La narrazione si sviluppa su due piani temporali, uno che si rifa sostanzialmente al memoir e che ritrae la vita della protagonista Etsy a Williamsburg all’interno della comunità, l’altro che segue la fuga di Etsy a Berlino.
La parte ambientata a Berlino si discosta completamente e volutamente dal libro di Feldman, ma lo fa prendendo una piega completamente surreale. Infatti la protagonista si trova in situazioni del tutto improbabili per una persona che ha appena abbandonato una setta e che ha una conoscenza del mondo esterno praticamente praticamente pari a zero. Come ho letto in una delle recensioni di cui parlavo all’inizio, il primo problema con questa narrazione, è che potrebbe instillare false speranze in chi si trova in una situazione simile a quella di Etsy e vuole provare ad abbandonare la setta. Questa narrazione potrebbe far credere che il mondo là fuori sia bello e accogliente, senza pericoli.
Tuttavia Feldman nel libro parla delle difficoltà di crearsi una vita, del fatto che non ci sia necessariamente un lieto fine. Fuori dalla comunità si è completamente soli ad affrontare difficoltà economiche, pregiudizi e discriminazioni, che vengono sia dal mondo non ebreo, che dal resto della comunità ebraica, divisa in molte fazioni che faticano a comunicare tra loro. Per le donne poi c’è anche il problema dei predatori sessuali, ossia degli uomini che sono pronti ad approfittarsi di soggetti così vulnerabili, totalmente ingenui e impreparati rispetto al funzionamento delle relazioni uomo-donna fuori dalla setta.
L’altro punto controverso su cui mi ha fatto riflettere un’altra recensione che ho letto è proprio la rappresentazione totalmente idealizzata che viene fatta della società berlinese vs invece una rappresentazione etnografica, nel senso peggiore del termine, della vita nella comunità.
La Berlino della setta è stata idealizzata volutamente dalla produzione, ma in questo modo il pubblico può molto facilmente identificarsi con i buoni, essere rassicurato della propria bontà e in qualche modo riconfermare la propria superiorità rispetto ai membri della setta, che invece vengono per lo più appiattiti in stereotipi, e vengono presentati come i cattivi della situazione.
Così il mondo hassidico ci sembra ancora ancora più lontano e guardando la serie non colmiamo realmente la distanza tra il nostro mondo e il loro mondo, ma riconfermiamo soprattuto le differenze e l’incomunicabilità.
Sicuramente questa serie tv mette in luce le difficoltà di ritrarre una realtà del genere, specialmente quando lo si fa dall’esterno, avendo soltanto una conoscenza breve e indiretta del mondo di cui si parla.
Sarebbero moltissimi gli aspetti di cui parlare, come ad esempio la condizione della donna all’interno della setta, ma ho preferito soffermarmi su aspetti magari meno evidenti dalla visione della serie tv. Spero di aver destato in voi curiosità, e magari, se avete amato la serie tv, spero di avervi dato dei nuovi spunti di riflessione.
Grazie di essere arrivati fin qui, buona lettura e alla prossima!
Intervista a Deborah Feldman: https://www.youtube.com/watch?v=HbKvcTZqNA0
Naomi Seidman, My Scandalous Rejection of Unorthodox: https://bit.ly/308VR3g
Frieda Vizel, I left the Satmar Hasidic community. ‘Unorthodox’ is a grossly inaccurate depiction of that world. https://bit.ly/30XLj6f
Frieda Vizel, “Unorthodox” is a dangerous, misleading fairy tale of transitioning from the secular world, https://bit.ly/3jQWIgK