Ep. 7 Scrivere in una lingua straniera

Una lingua straniera può significare una separazione totale. Può rappresentare, ancora oggi, la ferocia della nostra ignoranza. Per scrivere in una nuova lingua, per penetrarne il cuore, nessuna tecnologia aiuta. Non si può accelerare il processo, non si può abbreviarlo. L’andamento è lento, zoppicante, senza scorciatoie. Più capisco la lingua, più si ingarbuglia. Più mi avvicino, più si allontana.

Jhumpa Lahiri, In altre parole

Ho letto In altre parole di Jhumpa Lahiri nel 2016, mentre vivevo per la prima volta all’estero. Da mesi parlavo più in inglese che in italiano e stavo provando ad iniziare a scrivere in inglese. Leggendo il libro di Lahiri ho pianto, per la prima volta mi sono sentita capita.

C’era qualcuno che aveva messo in parole la mia frustrazione, quella sensazione di avvicinarsi a qualcosa che più ti avvicini più si allontana, ma c’era anche la speranza che gli ostacoli non fossero solo e  necessariamente una limitazione…

In questa puntata parliamo di un argomento che come si può intuire mi riguarda personalmente: scrivere in una lingua straniera. In particolare ho scelto due autrici Jhumpa Lahiri e Agota Kristof, che sono arrivate alla scrittura in una lingua straniera in maniera molto diversa e per motivi direi opposti, Lahiri per scelta, Kristof per necessità.

Entrambe hanno scritto un testo autobiografico in cui si esplora il rapporto con la lingua straniera e la scrittura creativa: Kristof pubblica L’analphabete in francese nel 2004 e Lahiri In altre parole in italiano nel 2015.

Anche col libro di Kristof ho un rapporto particolare. Ne ho sentito parlare per la prima dalla youtuber Chiara Martini, che recensiva l’edizione in italiano, pubblicata dalla casa editrice svizzera Casagrande. Ne rimango affascinata, ecco un’altra scrittrice che scrive in una lingua straniera … Ma vivo in Canada, sulla costa ovest, e per me è praticamente impossibile  reperire l’edizione italiana. Così compro la traduzione inglese, tanto traduzione per traduzione… Oggi, vivo nel Canada francofono e ho potuto prendere in biblioteca L’analfabeta in lingua originale e leggerlo con facilità.

Agota Kristof è una scrittrice ungherese, la sua opera più importante è una trilogia che in italiano è tradotta come Trilogia della città di K. Nel 1956, a ventun’anni fugge dall’Ungheria insieme al marito, una bambina di sei mesi e un dizionario, il marito è coinvolto nella dissidenza politica e rischia di essere arrestato, così la famiglia parte  a piedi per un viaggio pericoloso alla ricerca di un paese che li accolga come rifugiati. finiscono in Svizzera, a Neuschatel.

Kristof non parla una parola di francese e si ritrova da adulta, analfabeta in un paese straniero, proprio lei che aveva imparato a leggere all’età di 4 anni e che scriveva storie fin da bambina.  

Lahiri, premio Pulitzer con L’interprete dei malanni nel 2000, cresce negli Stati Uniti da una famiglia bengalese, si definisce “ senza patria e senza lingua madre”. Il bengalese che in teoria dovrebbe essere la sua lingua “madre”, in quanto lingua parlata dai genitori, è in realtà una lingua che parla da estranea, con un accento, che legge stentatamente e non sa scrivere. L’inglese è la sua lingua dominante, la lingua dell’educazione e della vita di tutti i giorni, la lingua della creatività, ma è una lingua senza radici per lei. Anzi è in qualche modo anche quella una lingua ostile, perché è la lingua che mette una distanza tra lei e i suoi genitori. Nel 2011 Lahiri decide di trasferirsi in Italia, dove vive stabilmente per tre anni per seguire un grande amore: la lingua italiana.

Se per Kristof il francese è la lingua dell’esilio, una lingua che deve imparare per forza per sopravvivere e che lentamente, col tempo, cancella la sua lingua madre, per Lahiri invece l’italiano è la lingua d’elezione, e diventa in qualche modo la vera lingua madre.

Sono particolarmente legata a questi scritti perché entrambi parlano molto onestamente del percorso di apprendimento di una lingua straniera, delle difficoltà di scrivere in una lingua imparata da adulti, soprattutto del tempo che serve per imparare, che non si può accorciare, ci vuole il tempo che ci vuole. Ma entrambe le scrittrici sono l’esempio del fatto che con dedizione, con caparbietà, insomma con della sana tigna alla fine si riesce. 

Oggi mi trovo ad abitare tre lingue, l’italiano, l’inglese e il francese, spesso mi trovo a parlarle tutte e tre nello stesso giorno. Dopo aver imparato a lavorare in inglese, sto imparando a lavorare in francese. Quando finalmente iniziavo a sentirmi sicura di me in inglese, anche con la scrittura creativa, mi sono ritrovata a dover fare i conti con un’altra lingua, a dover ricominciare da capo, essere di nuovo quasi analfabeta… Oggi i libri di Lahiri e Kristof hanno assunto ancora un altro significato rispetto alla prima volta che li ho letti tra il 2016 e il 2017.

Entrambi le scrittrici parlano di qualcosa di assolutamente contemporaneo. L’esperienza di Kristof è un’esperienza di esilio, di chi fugge dal proprio paese per necessità, abbandonandolo di nascosto, e si ritrova in un paese sconosciuto da rifugiata, dove ha una vita al caldo, confortevole, ma senza amici, senza punti di riferimento, senza più un’appartenenza. 

Kristof all’inizio continua a scrivere e pubblicare qualche poesia in ungherese, ma c’è troppa distanza… decide quindi di scrivere in francese perché la ritiene la cosa praticamente più sensata, ma il francese rimane sempre una sfida, ha un rapporto conflittuale con questa lingua che rimane sempre memento del paese natale negato.

Lahiri invece parla come una potenziale figlia di Kristof, dal punto di vista di chi nasce da genitori immigrati in un paese straniero. La sua è l’esperienza di chi fin dalla nascita vive tra due mondi, in una sorta di limbo, in cui non si appartiene veramente a nessun luogo, come una pianta dalle radici aeree… 

Lahiri arriva all’italiano alla ricerca di qualcosa di suo, una lingua che può scegliere, una nuova avventura per placare quell’inquietudine di chi non ha un luogo che sente veramente di chiamare casa. E a volte una casa può essere anche una lingua. L’italiano è “Un amore non corrisposto” dice Lahiri perché la lingua non ha bisogno di lei, ma non per questo smette di studiarla, di cercare di colmare la distanza tra lei e l’italiano, nutrendo così il proprio amore per questa lingua, tanto che oggi la scrittrice si occupa anche di traduzione dall’italiano all’inglese, di testi suoi e non.

È un po’ come se i due libri si parlassero e mentre preparavo questa puntata ho ascoltato un’intervista che troverete linkata in descrizione in cui  Lahiri parla proprio della scoperta dell’Analfabeta di Kristof nella sua traduzione italiana e dell’ammirazione che prova per la sua caparbietà nel decidere di scrivere in una lingua imparata da adulta e  per la potenza e la durezza della sua scrittura.

Nei due testi Entrambe le scrittrici si soffermano sulla lettura, e ne parlano come di  un bisogno quasi viscerale, che condivido. Kristof parla della difficoltà di reperire libri in ungherese e di ritrovarsi a leggere qualsiasi cosa fosse disponibile pur di leggere. Infatti quando si vive in un paese straniero di cui non si parla la lingua i libri diventano oggetti inanimati. è quando anche  i libri iniziano a diventare oggetti parlanti, con cui è possibile avere un dialogo che in qualche modo possiamo dire di aver conquistato la lingua! E questa è un’esperienza che ho fatto già due volte nella vita, ed è meraviglioso per un’amante dei libri,  piano piano giungere di nuovo alla conquista delle librerie e delle biblioteche,

Ma certo all’inizio la lettura è un processo lento, faticoso, la pagina è intelligibile, ma piena di buchi, costituiti da tutte quelle parole che non conosciamo… e lì entra in gioco la lotta tra frustrazione e perseveranza. C’è un alleato però che può salvarci: il dizionario.

Lahiri lo porta sempre con sé, come un talismano, un ponte portatile che ci permette di attraversare la distanza tra noi e la lingua straniera.

Kristof scrive, nella sua prosa secca, che fa economia di parole, ma che va dritta al punto (traduzione dal francese mia): Parlo francese da più di trent’anni, lo scrivo da venti, ma non lo conosco ancora. Non parlo senza errori e non posso scrivere se non con l’aiuto di dizionari frequentemente consultati.

Il dizionario diventa fedele compagno, da consultare dopo la lettura, durante la scrittura a più riprese. Oh quante volte invito i miei studenti a consultare il dizionario, e mi guardano perplessi, come a dire, ma a me basta il traduttore… Solo mentre preparavo questa puntata ho capito che in effetti il mio amore per il dizionario viene forse dall’affrontare la lingua straniera, l’inglese principalmente, come una lingua da esplorare per scrivere. Non mi basta una traduzione approssimata, voglio essere io a scegliere la sfumatura di significato, voglio imparare cosa vuol dire una parola per decidere se è quella che sto cercando.

Se siete persone che abitano più lingue, se scrivete in una lingua che avete imparato da adulti, o se siete studenti di italiano e in qualche modo siete finiti su questo podcast vi consiglio caldamente questi due libretti.

Concludo con una piccola comunicazione di servizio, forse qualcuno tra i miei 25 ascoltatori si sarà accorto che il podcast non è uscito con la stessa cadenza delle puntate precedenti. Ma gli impegni hanno avuto la meglio, ho iniziato questo podcast d’impulso, e non avevo ben chiaro quanto tempo ci volesse per scrivere questi 10-20 minuti di puntata che ascoltate. Le variabili esterne nel frattempo sono cambiate e mi trovo al momento a non poter sostenere la scrittura di due puntate al mese, la frequenza quindi dovrà ridursi a una puntata ogni 3-4 settimane. Se non volete perdere le prossime uscite quindi vi consiglio vivamente di iscrivervi o “seguire “ il podcast, dipende dalla piattaforma da cui mi ascoltate! Se mi ascoltate da Apple podcast e vi piace quello che avete ascoltate, mi aiutereste molto lasciando una recensione.

Come sempre se la puntata vi è piaciuta vi invito a condividerla… buona lettura, e a presto!


2 Replies to “Ep. 7 Scrivere in una lingua straniera”

  1. luciano

    Nel tempo e sentendo i vari episodi apprezzo, sempre di più, i podcast perché sono sentieri , non solo di libri, ma di vita , di sensazioni così facendo ritornare la “letteratura “ a comunicazione di pensieri, sentimenti, esperienze cioè di vita. Ps. Se ci fosse pure qualche stacco musicale appropriato sarebbe ancora più sinestetico.

  2. Sandra Moroncini

    Il tuo podcast è molto interessante e mi tocca da vicino. Quello che dice Jhumpa Lahiri è verissimo: per penetrare il cuore di una nuova lingua il processo è lento e zoppicante, più ti avvicini ad esso, più si allontana. Più ti sembra di conoscere la lingua, più ti rendi conto che tradurre richiede un lavoro certosino di ricerca. La parola deve essere scovata, scelta, deve essere quella giusta, la sola che riesce ad esprimere la sfumatura che cercavi. Hai ragione Benedetta, come dici tu il dizionario è un fedele compagno! Nel mio percorso professionale, insegno da anni, è diventato uno strumento insostituibile, si potrebbe pensare che con la conoscenza della lingua se ne possa fare a meno, in effetti è vero il contrario perché non ti accontenti più di usare quelle parole che già possiedi, ti rendi conto che hai bisogno di più precisione, hai bisogno di selezionare e selezionare ancora…. è un lavoro quasi infinito ma molto appagante! Aspetto il tuo prossimo podcast

Comments are closed.